martedì 31 maggio 2011
La rivoluzione tranquilla di Giuliano
di Curzio Maltese
Il vero colore
della sinistra.
Com’è finalmente
vera la sinistra
che umilia Berlusconi
a casa sua.
Una piazza del Duomo rossa che accoglie con un’ovazione il suo sindaco, che non s’è mai vergognato della falce e martello.
Una piazza che esplode di applausi quando Nichi Vendola saluta «i nostri fratelli rom, i nostri fratelli musulmani».
Con tanti saluti alla sinistra che pensava di vincere coi prefetti, gli industriali e le «ronde di sinistra».
Al primo turno era un miracolo, ma ora è la rivoluzione.
È il maggio milanese.
Milano non ha mai avuto bisogno di ministeri e dipartimenti per decidere la politica italiana. E come sempre, quando decide, lo fa fino in fondo.
Qui ieri è finito il ventennio di Berlusconi, qui comincia un’altra epoca.
«È un fatto enorme, che va molto oltre la mia elezione a sindaco » è stato il primo commento di un Giuliano Pisapia sospeso fra euforia e lacrime, dietro le quinte dell’Elfo, mentre la forbice fra lui e la Moratti s’allargava a ogni minuto. E poi la valanga.
Il nuovo sindaco di Milano urla di gioia al primo lancio da Napoli.
«Non solo perché mio padre è napoletano ».
Trieste, Novara, Cagliari, perfino Gallarate. «Gallarate? Ma allora è la rivoluzione».
Rivoluzione è una parola che Giuliano Pisapia ha frequentato fin da ragazzo, prima di realizzarne una da solo e quasi contro tutti all’alba dei sessanta. Ci si aspettava che nella politica italiana la svolta arrivasse da un volto nuovo, un giovane, un «papa straniero » debuttante in politica.
Ma è stato proprio l’incrocio fra una figura così solida, definita, fortemente identitaria come quella di Giuliano Pisapia e una campagna elettorale del tutto nuova a scatenare il cortocircuito fatale al berlusconismo.
«È stata una campagna unica, che per la prima volta ha sconfitto la politica dell’insulto con il sorriso e l’ironia.
Ma questi sono stati mesi pieni di prime volte» dice Pisapia.
E allora forse vale la pena di guardarle da vicino, tutte queste «prime volte» del laboratorio politico milanese.
La prima novità del maggio milanese è Sinistra, con la “s” maiuscola. Una parola bandita per anni a Milano, dove la sinistra si è vergognata di esserlo fin da prima di Berlusconi.
In questa logica, Pisapia era il «candidato più sbagliato che si potesse immaginare », hanno ripetuto tutti, perfino una testa fina come Massimo Cacciari.
Un comunista scelto dai milanesi? Impossibile.
Piuttosto un giovane cattolico o un vecchio liberale, un industriale già berlusconiano o un ex democristiano.
Con la vittoria di Pisapia finisce la sinistra che imita la destra, il riformismo inteso come ultra moderatismo, la rincorsa disperata al centro. Fine della teoria dei candidati «perfetti» (o prefetti), ma per perdere.
Fine anche dell’insensata guerra dei vent’anni fra «professionisti della politica» e «società civile».
Pisapia incarna la sintesi, grande avvocato e uomo di partito da sempre. Tanti luoghi comuni, questi sì, da rottamare.
La seconda rivoluzione è Internet. Biciclettate e Facebook, mercati di periferia e Twitter. La campagna di Pisapia si è mossa sui binari paralleli del massimo di presenza sul territorio e il massimo di uso della rete.
In qualche modo sempre «oltre» la televisione.
Non per caso si è chiusa con la sedia vuota di Pisapia sul set del duello tv. In altri tempi, uno snobismo fatale. Non s’era mai vista una campagna tanto giocata su Internet, neppure quella di Vendola dell’anno scorso.
La progressione degli amici di Pisapia su Facebook è stata impressionante, da poche decine ai 110 mila finali.
È stata una scelta in parte dettata da necessità, visto l’abisso di mezzi in campo.
Un milione speso per Pisapia, dodici milioni dalla Moratti. «Ma la rete ha funzionato meglio della tv, dei manifesti e perfino dei sondaggi, almeno nel correggere in fretta gli errori» dice Roberto Basso, stratega della campagna di Pisapia.
Dal popolo della rete sono arrivati contributi decisivi, come il geto niale «Il favoloso mondo di Pisapie », ironica contro propaganda firmata da cinque ventenni blogger milanesi, fra i quali Davide Rossi, figlio dell’attore Paolo. Fra l’altro, s’è visto che dove le forze politiche sanno usare la rete, l’impatto dei «grillini» frana.
Non significa naturalmente che la televisione non conti più nulla.
Perfino stavolta è stata decisiva, sia pure in negativo, con l’harakiri della Moratti nel duello con l’avversario «ladro di furgoni». Ma da Milano in poi non sarà più «il» luogo della politica. Proprio nella capitale del berlusconismo sta nascendo del resto la tv via rete del dopo Berlusconi, con l’avanzatissimo progetto di «Twww. it». La terza novità riguarda i cattolici.
Le «tonache rosse», secondo la destra.
Per, la prima volta il cattolicesimo di base milanese ha messo in minoranza lo strapotere di Comunione e Liberazione.
Scena mai vista, i volantinaggi di Cl respinti con perdite davanti alle parrocchie. A rompere gli indugi è stato l’appello pro Pisapia di don Virginio Colmegna, che non aveva mai parteggiato prima per un candidato sindaco, con 250 firme, poi raddoppiate, raccolte fra preti, suore della Caritas, esponenti della conferenza diocesana.
Pisapia è stato applaudito alle Acli e davanti alle chiese, perfino quando parlava del registro delle coppie di fat- geto, che i consiglieri moderati gli avevano consigliato di togliere dal programma.
Quarta novità, l’invecchiamento della destra.
La Lega, l’unico «partito vero», quello «radicato nel territorio» esce dal voto milanese con le ossa rotte e un’immagine di colpo invecchiata e assai «romana». Bossi promette ministeri e uffici a un elettorato che odia la burocrazia e in ultimo, come faceva Craxi, manda il suo uomo da Roma, Castelli, a rilevare il popolare ma disubbidiente Matteo Salvini.
In compenso il Pdl, nato appena ieri, sembra la Dc di De Mita, dove tutti odiano tutti e si preparano a una guerra di successione.
Formigoni, che si è sforzato per settimane di sembrare dispiaciuto, non ha aspettato neppure il ballottaggio per lanciare la propria sfida per la successione a Berlusconi. Forte dell’unico apparato di potere ricco e autonomo da Berlusconi.
Quinta novità, la fortuna.
Dai tempi di Machiavelli, elemento chiave. Berlusconi ha sbagliato molto, ma è stato anche sfortunato. Non ha più «il sole in tasca».
Pisapia invece finisce con un doppio arcobaleno in testa, anche quando aveva avuto la sfiga di convocare l’ultimo comizio al Duomo sotto la grandine.
la Repubblica 31 maggio 2011
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